Dal Baltico a Fiumicino: perché Internet si lega sempre di più al mare

Da qualche mese, il tema dei cavi sottomarini è ricorrente sui giornali e in TV: dai danni registrati nel Mar Baltico (dove si ipotizzano possibili sabotaggi) fino ai continui riferimenti a guerre ibride o a navi “sospette” che, forse, tranciano volontariamente i cavi. In realtà, l’attenzione per il “mare di Internet” non è affatto nuova: l’infrastruttura subacquea esiste da decenni e ha garantito per anni la circolazione di gran parte del traffico mondiale. È solo ora, però, che l’opinione pubblica inizia a rendersi davvero conto di quanto il mare e la connettività siano intimamente legati.

Gran parte di ciò che facciamo online – guardare video in streaming, inviare email, partecipare a videochiamate internazionali , fare acquisti online– passa attraverso i cavi sottomarini. Si tratta di reti in fibra ottica, protette da strati di metallo e plastiche speciali per resistere a pressioni, correnti e (in minor parte) anche a “curiosi” attacchi di fauna marina.
Secondo molte stime, questi cavi trasportano fino al 95-97% del traffico dati mondiale. Quando si danneggiano per cause naturali o per incidenti di pesca a strascico, accade un fenomeno simile ai lavori in autostrada: il traffico devia su altre rotte, si creano rallentamenti e l’esperienza online diventa meno fluida. È raro che l’interruzione di un singolo cavo blocchi del tutto Internet, perché esistono collegamenti ridondanti e sistemi di ribilanciamento automatico (proprio come uscite alternative sulle autostrade). Ricordiamo la natura resiliente di Internet: in origine il progetto DARPA puntava proprio a costruire una rete in grado di sopravvivere persino a un disastro nucleare. E in parte c’è riuscita: oggi i dati possono seguire percorsi alternativi se uno snodo è in interrotto. Ma non per questo è tutto semplice: come su un’autostrada con una sola corsia libera per i lavori, si può sempre transitare, ma a velocità ridotta e rischi di congestione maggiori. E poi ci sono i costi: riparare una rottura di un cavo sottomarino può richiedere dai 5 ai 20 giorni e oltre e i costi non sono irrilevanti.

Quanto siamo vulnerabili e quanto impattano i sabotaggi sulla rete? Le statistiche dicono che il 60% circa delle rotture è causato da attività di pesca o ancoraggi impropri, un ulteriore 10-15% deriva da eventi naturali (frane, terremoti), mentre un’altra fetta del 10-15% riguarda difetti tecnici e usura. Meno del 5% dei casi è attribuibile a manomissioni intenzionali. Non molto in termini assoluti, ma quanto basta per spaventare governi e aziende, soprattutto se un cavo vitale per un’intera nazione viene danneggiato in un contesto geopoliticamente sensibile, come nel Mar rosso o nel Mar Baltico

In parallelo ai recenti allarmi, è interessante notare come la connessione fra “rete e mare” in Italia abbia radici vecchie di quasi 30 anni, sebbene in modo decisamente più “romantico” di quanto si pensi. Basta guardare la storia di NAMEX, l’Internet Exchange Point (IXP) di Roma, che già nel nome rivela il suo spirito “sottomarino”.

Se si pensa agli IXP più famosi, di solito il loro acronimo richiama la città ospitante: AMS-IX (Amsterdam), LINX(Londra), DEC-IX (Germania/Francoforte), ESPANIX (Spagna/Madrid). Allora, perché l’IXP di Roma non si chiama “ROM-IX” o “ITA-IX”?
Bisogna tornare al 1995, quando Internet in Italia era ancora un fenomeno di nicchia. L’idea di un exchange point era considerata pionieristica, quasi “underground”: poche email, i primi siti web istituzionali, qualche applicazione enterprise. A quei tempi il server del Comune di Roma si trovava sotto la scrivania di un ricercatore all’Università la Sapienza. Fu in quel clima “artigianale” che il gruppo fondatore scelse di chiamare il nascente punto di interscambio Nautilus Mediterranean Exchange Point.

Il nome richiamava il Nautilus del romanzo Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne: un vascello futuristico, simbolo di innovazione e spinta verso l’ignoto. Non a caso, negli scritti di Verne, il Nautilus era dotato di un’avanzatissima forma di energia elettrica in grado di alimentare ogni aspetto della vita a bordo. Era il 1870.

In quellistante, vidi il capitano Nemo, stava in piedi presso la ruota del timone, appoggiato a un banco di manovra. Il suo sguardo era fisso, lontano, negli abissi. Lelettricità, a bordo di quellincredibile vascello, non alimentava soltanto il motore, ma ogni angolo di luce e di vita; un sogno di modernità, realizzato e mantenuto con unostinata determinazione.”

Questo spirito di scoperta rispecchiava perfettamente lentusiasmo di chi stava provando a far nascere Internet in Italia negli anni 90. Unaltra intuizione dei fondatori fu quella di non limitare la visione a Roma o allItalia, ma di puntare fin dallinizio a un hub di interconnessione che superasse Roma e servisse tutta larea del Mediterraneo.

 

I fatti del Mar Baltico

Tra il 17 e il 18 Novembre 2024 i due cavi sottomarini C-Lion1 che collega la Finlandia alla Germania e BCS EAST-WEST che collega Svezia e Lituania sono stati danneggiati. Come lo si scopre in tempo reale? Chiunque gestisca il traffico IP internazionale vede il cambio di rotte, gli utenti possono accorgersi di rallentamenti e poi ci sono le sonde, tipo quelle di RIPE ATLAS che notano una latenza significativamente cambiata o altre società di monitoring come Kentik del nostro amico Doug Madory. In che modo si distinguono cause accidentali, da cause malevole? Qui inizia un’attività investigativa complessa. All’inizio, se non ci sono stati eventi noti in zona, si monitorano subito le navi. Tramite siti come Marine Traffic o altri si può vedere il traffico delle navi in zona, soprattutto quelle da pesca o di dimensioni importanti. Le catene di alcune navi cargo superano i 300 metri di lunghezza. L’ultima parola non può arrivare prima del momento della riparazione, che significa giorni, ma generalmente, settimane dopo. Lì si vede il tipo di danno, ma il chi/cosa/come è ancora da esplorare. Nel caso del Baltico il giorno stesso si è assistito a una serie di dichiarazioni di esponenti politici dei governi locali che indicavano nel governo russo il mandante del presunto sabotaggio. Nei giorni successivi le autorità danesi, svedesi e tedesche hanno fermato la nave cinese Yi Peng 3 proveniente da un approdo russo. Secondo i dati di Marine Traffic le posizioni della nave erano compatibili con l’intersezione dei cavi. Dopo qualche settimana, il 15 dicembre,  il Wall Street Journal racconta che secondo fonti dell’intelligence occidentale, il capitano della Yi Peng 3 “sia stato indotto dall’intelligence russa” a lasciare l’ancora nel fondale e trascinarla consapevolmente per decine di miglia.  La Guardia costiera tedesca, dopo aver esaminato il cavo C-Lion 1 ha confermato che il danno osservato era coerente con quello causato da un’ancora trascinata, inoltre compariva una profonda scanalatura sul fondale marino. Segnalo che le autorità americane hanno affermato che il cavo “non è stato tagliato deliberatamente”, mentre quelle europee continuano a puntare il dito sulla Russia.

A questa ipotesi di sabotaggio indotto, come viene descritto, dobbiamo aggiungere un ulteriore problema nel Baltico che potrebbe portare alla rottura dei cavi sottomarini come danni collaterali di navi in difficoltà. Con le sanzioni sono aumentate le petroliere russe che per ovviare ai blocchi battono bandiere diverse, spengono l’AIS o usano jammer per confondere la guardia costiera e trafficare petrolio. Viene chiamata la flotta fantasma. La sensazione di chi scrive è che ne sentiremo parlare ancora a lungo.

 

Il ruolo di Fiumicino

Ha senso continuare a installare cavi sottomarini? Assolutamente sì. Soprattutto per garantire ridondanza e resilienza, due aspetti fondamentali se consideriamo che le “scorciatoie tecnologiche”, i satelliti, di cui tanto si parla hanno altri vantaggi e non sono prive di rischi. Dal 2021 la Russia, sempre lei purtroppo, può abbattere satelliti direttamente da terra.

A partire dalla fine di Gennaio inizieranno le fasi di messa in opera del cavo sottomarino Unitirreno dell’italiano consorzio omonimo che collegherà Mazara del Vallo, Olbia, Fiumicino e approderà alla landing station di Genova nel primo semestre del 2025.

Unitirreno è il secondo cavo di importanza strategica internazionale che approda nelle coste laziali. L’altro è BluMed di Sparkle, società italiana leader del settore.

Puntare sui cavi sottomarini resta una scelta sensata e l’Italia, con Unitirreno e BluMed, vuole ritagliarsi uno spazio da protagonista.

Per ora, e speriamo a lungo, il mar Tirreno dovrebbe essere meno soggetto a “induzioni di sabotaggio”. E l’attracco di un cavo tanto cruciale a Fiumicino renderà Roma un nuovo epicentro telematico del Mediterraneo. Un sogno (o forse una solida visione) che i fondatori di NAMEX avevano già immaginato da tempo.

 

https://www.nytimes.com/interactive/2024/11/30/world/africa/subsea-cables.html?unlocked_article_code=1.d04.1zqI.R-pQo2DTLjVW&smid=nytcore-ios-share&referringSource=articleShare

https://labs.ripe.net/author/emileaben/does-the-internet-route-around-damage-baltic-sea-cable-cuts/

https://www.ilpost.it/2024/11/30/indagini-sabotaggio-cavi-sottomarini-baltico/

https://www.wsj.com/world/europe/brush-with-russia-in-baltic-points-to-new-flashpoint-in-nato-moscow-shadow-war-08b5b182

 

Christian Cinetto, Head of Communication and Content di Namex

 

 

Share this post