Internet è probabilmente il fenomeno che più ha modificato l’economia e la società italiana contemporanea. Nonostante la rilevanza della rete, non ci sono studi in Italia che ne hanno ricostruito lo sviluppo commerciale.
Si tratta di una storia di un’imprenditoria pioneristica e appassionata, che prenderà sempre più piede, dopo un primo periodo in cui Internet si configura solo come un fenomeno rilevante nel mondo universitario. Questo articolo ricostruisce la storia del punto di interscambio romano (NAMEX), una delle tappe fondamentali di questo percorso di commercializzazione della rete.
Proprio per via del nuovo medium, che permette la comunicazione attraverso messaggi di posta elettronica, i quali spesso non vennero archiviati in via definitiva dai soggetti che li produssero, la ricerca si basa su fonti orali. Attraverso interviste semi-strutturate ho raccolto le testimonianze di fondatori di rilevanti aziende del settore, tecnici che sono stati fondamentali nell’implementazione, avvocati che hanno seguito le maggiori controversie legali, direttori del punto di interscambio e di centri di calcolo universitari. Triangolando queste fonti ho ricostruito la storia di NAMEX in occasione del suo venticinquesimo anno di attività.
Io penso che i punti di interscambio siano il genoma di Internet.
Tullio Zannoni, tecnico di CASPUR
Tenete conto che in quel periodo la Internet commerciale non esisteva. Sostanzialmente Internet era l’emanazione del progetto universitario dal quale sarebbero gemmati i vari servizi, a partire dal servizio web.
Ugo Contino, tecnico CASPUR
Un conto è, però, fare un esperimento di collegamento, un altro è costruire una infrastruttura di rete utilizzabile dagli utenti. La storia di Internet in Italia, se ne vogliamo affrontare meglio l’origine istituzionale, affonda le radici nella costituzione dei centri di calcolo nei dipartimenti di fisica e matematica delle varie università [4], che vennero messi in rete molto prima dell’avvento del protocollo TCP/IP, su cui oggi si basa il funzionamento logico della rete Internet. Questi centri di calcolo universitari furono tra i primi centri di sperimentazione di Internet. Fu un’iniziativa ministeriale, a detta di diversi operatori in ambito universitario, a dare l’impulso a un coordinamento e a una messa in rete delle risorse. Negli anni 1988-89, infatti, il Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica Antonio Ruberti stanziava dei fondi, circa 50 miliardi di lire, per sviluppare progetti volti a favorire l’utilizzo delle tecnologie informatiche nella ricerca italiana [5]. A seguito di questa iniziativa, si svilupparono diversi progetti tra università in qualche modo prossime territorialmente. A Roma, uno di questi fu il progetto NIC-Italia (Numeric Intensive Computing) che prevedeva l’acquisto e la gestione di un calcolatore IBM 3090 600J 6VF. La convenzione che diede vita al progetto fu firmata il 2 Marzo 1989 dalle Università degli studi di Roma Sapienza e Tor Vergata, di L’Aquila, Bari, Lecce, Cagliari e dagli Enti di Ricerca CNR, ENEA e INFN. Il progetto, guidato da un comitato presieduto dal professor Franco Gianturco con la gestione operativa del CICS – Sapienza (Centro Interdipartimentale di Calcolo Scientifico), coordinato dalla professoressa Mirella Schaerf e con la direzione tecnica del professor Enzo Valente dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), proseguì per i previsti 3 anni. Al termine di questo periodo fu deciso di dar vita a un Consorzio Interuniversitario (CASPUR) al quale però aderirono solo le Università La Sapienza di Roma, quelle di Lecce, di Bari ed il neonato Politecnico di Bari. Immediatamente dopo entrò nel consorzio RomaTre, che nel frattempo era appena nata, e si aggiunsero altri atenei, raggiungendo una decina di università consorziate [6]. Gli Enti di ricerca non potevano partecipare a un Consorzio Interuniversitario finanziato dal Ministero; per ovviare a questo, l’INFN e l’ENEA (Ente Nazionale per l’Energia Atomica) stabilirono convenzioni separate con CASPUR. In questo modo contribuirono alla gestione tecnica del consorzio e parteciparono ai lavori del comitato tecnico scientifico.
Allora Internet era un fenomeno che interessava la ricerca universitaria e pochi altri soggetti che ne intuirono le potenzialità. Tra questi ci furono i primi fornitori di servizi collegati al mondo della rete. A Roma erano Unidata, Agorà [7], MC-link; in breve, le aziende che, insieme a CASPUR, diedero vita a NAMEX. Unidata nasceva da un’esperienza imprenditoriale nel settore dell’hardware. Era stata fondata da Renato Brunetti, che diventerà vicepresidente e, in seguito, presidente di NAMEX. Agorà era la BBS [8] del Partito Radicale, concepita come uno spazio di discussione internazionale. MC-link non iniziò come fornitore di accesso a Internet, ma come versione online della rivista MC Microcomputer, sul modello dell’americana BIX della rivista Byte. Queste variegate realtà cooperarono per dare vita a un disegno innovativo: da loro partirà la scintilla che creerà il punto di interscambio romano.
La Internet Exchange Federation definisce un punto di interscambio come una infrastruttura di rete che permette l’interconnessione di più di due Autonomous Systems indipendenti, principalmente con il fine di facilitare lo scambio di traffico Internet [9]. In sostanza, un punto di interscambio mette in collegamento in modo efficiente diversi operatori Internet in un preciso luogo fisico dove arrivano e si connettono i loro circuiti geografici. I primi punti di interscambio furono costituiti negli Stati Uniti nei primi anni Novanta su indicazione del governo federale nell’ambito del processo di commercializzazione di Internet; il primo Internet Exchange, CIX, fu attivato nel 1991 nei sobborghi di Washington; il leggendario MAE East fu istituito nel 1992 e nei due o tre anni successivi nacquero altre infrastrutture simili [10]. Sorsero quasi subito diversi punti di interscambio anche in Italia, in primis il NAP del CILEA (Consorzio Interuniversitario Lombardo per l’Elaborazione Automatica) nell’aprile del 1995 a Segrate, nell’area metropolitana di Milano [11]. Il punto di interscambio a Roma fu istituito di lì a pochi mesi. Si dimostrerà il più longevo in Italia rimanendo in funzione ininterrottamente dal 1995 ad oggi. NAMEX ebbe delle dinamiche di sviluppo particolari nel panorama imprenditoriale italiano, sia nella scelta della forma giuridica del consorzio, sia in un certo modus operandi inclusivo che si pone finalità mutualistiche. Peculiarità largamente sottolineate dagli intervistati che hanno preso parte al progetto, anche in momenti diversi. Questo modello consortile e mutualistico verrà seguito nel 2002 anche da TOP-IX, il punto di interscambio di Torino. Come vedremo in seguito, la presenza di un punto di interscambio ha permesso ai pionieri dell’Internet nostrana di abbattere i costi di connessione, riuscendo così a sopravvivere e svilupparsi.
Ho intervistato i protagonisti del processo che ha portato alla nascita e alla crescita del punto di interscambio a Roma che, oggi, si configura come il principale punto d’incontro per le reti dell’Italia centrale e meridionale, raggruppando realtà imprenditoriali molto diverse tra loro per dimensione e vocazione. Per effettuare questa ricerca ho seguito le indicazioni contenute nel documento “Buone pratiche per la storia orale” dell’Associazione Italiana di Storia Orale [12]. Le domande delle interviste erano incentrate sulla ricostruzione di percorsi professionali e aziendali degli intervistati. All’interno di questi percorsi, si delineava la storia di questo soggetto collettivo, storia che ho ricostruito triangolando le fonti orali con documenti degli archivi aziendali di chi ha avuto l’accortezza di conservarli. Questo articolo si inserisce in un contesto di ricerca più vasto, volto proprio a preservare questa memoria attraverso la costituzione di un archivio di fonti orali. Per scriverlo ho collaborato con Marco d’Itri, che ringrazio, in un progetto dell’associazione ITNOG (Italian Network Operators Group) che si occupa del mantenimento di questa memoria storica. d’Itri mi ha anche indirizzato verso alcuni stakeholder, oltre a chiarire diversi aspetti tecnici rilevanti per seguire i vari processi di evoluzione delle strutture informatiche all’interno del punto di interscambio. Questo mi ha permesso di ricostruire una storia del punto di interscambio romano a tutto tondo, in occasione di una data importante: il suo venticinquesimo anno di attività.
[12] AISO, “Buone pratiche per la storia orale”, www.aisoitalia.org/buone-pratiche/ (consultate il 10/12/2019).
Loro erano curiosi e stavano un po’ nel campo della telefonia e mi dissero: “Ma sai, Internet è un fenomeno interessante e adesso si è passati da una cosa meramente universitaria, quindi con una riga di comando da esperti di UNIX [...] a un’interfaccia grafica [...] potrebbe essere interessante sai, adesso diventa semplice usarlo, potrebbe essere bello”. [...] Naturalmente da buoni tecnici, per carità, una cosa nuova si prova.
Renato Brunetti, Presidente Unidata
[...] dopo aver capito come funzionava Internet, dopo aver capito che gli apparati costavano molto, ma ancor di più costavano i circuiti, la capacità trasmissiva diventava la risorsa principale, la più preziosa. Bisognava economizzarla il più possibile, e per farlo si dovevano accendere dei punti di interscambio, dove invece di pagare il traffico verso il proprio provider, si poteva scambiare liberamente con altri attori.
Paolo Bevilacqua, ex tecnico di Unidata
[...] esisteva un comando che si chiamava “traceroute” [...] e ti consentiva di vedere qual era il percorso che in quel momento il tuo pacchetto percorreva in giro per il mondo, quali router attraversava per andare fino a un certo router di destinazione finale. [...] scrivevo traceroute sul mio computer e davo l’indirizzo Internet del router di Unidata che stava sulla porta accanto, cioè sul rack accanto. E vedevo che il mio pacchetto faceva Roma, Roma-Interbusiness, Interbusiness girava vari giri per l’Italia, usciva a Milano, andava ad Amsterdam, ritornava poi indietro da qualche parte, Parigi, così e [...] alla fine di un lungo percorso arrivava sul router di Unidata, che era veramente sulla stessa scrivania, accanto [...]
Francesco Proietti, Direttore di CASPUR
[...] era uno per ogni provider, quindi i vari provider hanno portato questi router Cisco come interfaccia seriale, compreso CASPUR - o perlomeno la sua estensione commerciale chiamata InRoma - perché il vincolo era che tutti entrassero dal punto di interscambio con una banda prefissata a 64 Kbps. Quindi, la banda aggregata [...] comprendeva sostanzialmente una porzione di rack in cui erano allineati questi quattro router Cisco, tre collegamenti esterni verso le reti di Agorà, MC-link e Unidata e un collegamento interno fatto ad hoc tra il router centrale di CASPUR, la sua estensione commerciale, e questo router Cisco messo nel rack, e un hub, non c’era neanche uno switch.
Ugo Contino, tecnico di CASPUR
A detta di tutti gli interessati, questo progetto nacque dal basso. I tecnici hanno sottolineato come l’infrastruttura iniziale fosse costruita in maniera piuttosto artigianale, ma hanno anche sottolineato la natura pionieristica del loro lavoro che richiedeva un approccio creativo e diverse competenze. Silvano Fraticelli [20], per esempio, descrive il suo amministratore delegato, Paolo Nuti di MC-Link, come un imprenditore che
Ha sempre avuto una gran vision [...]; ero una persona più diretta “attacco il filo e vedo”, lui spaziava dal filo alla nuvola, era non solo un visionario di Internet, ma aveva anche un lato piuttosto concreto e operativo, cioè a differenza di altri che, diciamo si mettevano nella nuvola e pensavano, poi lui era anche uno che diceva: “sì, però, ecco, a questo punto bisogna andare a mettere, che ne so, attaccare trenta modem”, e quindi si metteva lì con la crimpatrice, le cose, attaccava tutti i modem perché aveva una passione pregressa sul mondo dei fili.
Silvano Fraticelli, tecnico di MC-link
Non c’era tutta questa familiarità coi protocolli di routing, diciamo. Quando hanno deciso di mettere il BGP lo abbiamo deciso perché era, come dire, a quel punto diventata una condicio sine qua non; avevamo dall’altra parte Telecom Italia, avevamo gli altri, e quindi abbiamo poi tirato su queste sessioni BGP, ma sicuramente dal momento in cui avevamo installato i router all’arrivo del BGP avremmo fatto un po’ di esperimenti con gli indirizzi dati alla buona.
Silvano Fraticelli, tecnico di MC-link
Mi ricordo un grosso guazzabuglio quando abbiamo ricevuto i moduli da riempire da RIPE, perché non era chiaro come dovevamo costituire la policy, quindi abbiamo faticato quella volta [...] questa documentazione l’abbiamo spedita a RIPE. RIPE l’ha pubblicata sul sito e lì c’era scritto chiaramente chi faceva peering con chi, se avevamo filtri, se non ce li avevamo, all’inizio abbiamo avuto un po’ di problemi perché i filtri che avevamo messo erano troppo generici, entrava troppa roba, le macchine avevano diversi comportamenti anomali… alla fine abbiamo fatto, abbiamo usato [...] confederation BGP.
Tullio Zannoni, tecnico CASPUR
[...] mi trovai all’interno del gruppo reti che si occupava di networking. [...] si vendevano i primi servizi di reti in Italia. Il consorzio di Roma cominciava a fornire consulenze e servizi per alcune pubbliche amministrazioni [...] sia locali che centrali. Quindi aveva a che fare con il Comune di Roma, aveva a che fare con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la Camera dei Deputati. Mi ricordo il primo giorno che sono arrivato al CASPUR mi hanno fatto sedere a una scrivania e lì c’era un computer, una specie di grande desktop, e mi dissero: «Attento, perché quello è il sito del Comune di Roma», mi dissero «Attento con i piedi perché se no lo stacchi».
Maurizio Goretti, direttore NAMEX
Un tassello fondamentale per il consolidamento del NAP di Roma è stato il collegamento della rete di Telecom Italia, un passaggio tutt’altro che scontato, dato che l’operatore dominante del settore (incumbent) era restio. Temeva che, collegandosi al punto di interscambio, avrebbe avvantaggiato gli altri provider suoi concorrenti nell’offerta di collegamenti Internet. Occorre fare un passo indietro per chiarire la posizione dell’incumbent nel mercato Internet degli anni Novanta. Inizialmente Telecom Italia forniva il collegamento Internet solo ai provider e a grandi aziende con il suo marchio Interbusiness. Poi creò un provider dedicato ai consumatori finali chiamato Telecom Online (TOL), il quale, però, aveva avuto poco successo e non gli garantiva una quota significativa del mercato dei consumatori finali. In seguito, Telecom Italia acquisì Video On Line di Nicola Grauso, un imprenditore sardo che vendeva il collegamento a Internet tramite numero verde. Non facendo profitti sufficienti a coprire il costo dei servizi telefonici per sostenere questo business, Grauso aveva accumulato ingenti debiti con Telecom Italia [27]. Avendo acquisito l’impresa di Grauso, Telecom Italia fuse Video Online con TOL e lanciò TIN (Telecom Italia Network) abbassando i prezzi delle connessioni per i clienti. I provider Internet si trovarono in difficoltà di fronte alla concorrenza di Telecom Italia e temerono di finire fuori mercato. Questo perché i provider compravano da Telecom Italia i servizi telefonici necessari a fornire le connessioni ai loro clienti, ma Telecom Italia vendeva connessioni agli utenti finali a un prezzo simile o anche inferiore a quello che offriva ai provider stessi. La struttura dei costi non permetteva più a questi di replicare l’offerta di Telecom Italia mantenendo dei margini di profitto.
Nel 1996 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato interviene aprendo il caso C2404 [28], riguardante l’acquisto di Video On Line da parte di Telecom Italia. Andrea Valli, avvocato di riferimento di molti Internet provider italiani e dell’Associazione Italiana Internet Provider ricorda [29]:
Eh, sì, ma l’Antitrust è stata vitale. È stata vitale. Se in Italia c’è una struttura un po’ più competitiva su Internet rispetto ad altri Paesi, parlo di Germania, Francia, eccetera [...]. In quel caso l’Antitrust fu molto rapida e intervenne pesantemente; aprì un’istruttoria e, piuttosto che lasciare andare, diciamo, i buoi fuori dalla stalla, l’Antitrust ottenne delle misure e chiuse l’istruttoria sulla base di impegni che prese Telecom.
Andrea Valli, avvocato dell'Associazione Italiana Internet Provider
abbiamo capito che [...] il ruolo Roma [...] doveva essere quello di, diciamo, rendere più efficiente la copertura fino verso gli utenti finali nella parte del centro-sud Italia. Capito questo, siamo cresciuti abbastanza, più rapidamente di prima.
Maurizio Goretti, Direttore di NAMEX
NAMEX aggregò progressivamente Internet provider del centro e sud Italia. La crescita maggiore in questo ambito avvenne dal 2010 in poi. Prima di allora la presenza più significativa era quella di Panservice, uno dei primi Internet provider ad operare nella provincia italiana, a Latina, per la precisione, che si collega a NAMEX nel 2005. Nel 2009 si collega Convergenze, un Internet service provider di Capaccio-Paestum. Ogni anno ci sono nuove realtà di questo tipo che entrano a far parte di NAMEX, ricordiamo Frosinone Wireless nel 2012 e Warian di Montoro, in provincia di Avellino, nel 2015. Il fenomeno riceve una spinta propulsiva molto significativa dal 2018 in poi con l’adesione di numerosi piccoli provider locali, anche grazie a iniziative come ITNOG “On The Road” che consiste nell’organizzazione di convegni in centri minori che mettono in relazione piccoli e medi Internet provider.
La crescita non è, certamente, un fatto scontato. Maurizio Goretti, più volte, ribadisce come la sopravvivenza sia stata la sfida maggiore per NAMEX. Nato in una città con una vocazione più amministrativa che commerciale, il punto di interscambio di Roma cresceva con numeri decisamente meno importanti in termini di traffico di quello milanese. Al momento non esistono grafici e tabelle conservate riguardanti il traffico nel tempo e la sua crescita per fare un’analisi quantitativa. Ci riferisce, però, Daniele Arena, che iniziò a lavorare a NAMEX proprio nel periodo del trasloco a via dei Tizii, quindi nel 2000, che il traffico era circa 350 megabit, che si raddoppiava ogni anno e che, nel 2008 era di 10 gigabit, mentre il fatturato dal 2000 al 2008 era quintuplicato [38].
Nonostante questa crescita, NAMEX non aveva ancora sviluppato le dimensioni necessarie per essere completamente autonomo. Il sostegno di CASPUR «permetteva a NAMEX di crescere con una certa tranquillità» [39]. Sin dai suoi primi anni NAMEX deve la sua sopravvivenza alla simbiosi con CASPUR, che inizialmente ospita l’infrastruttura a titolo gratuito e che presta il personale al suo funzionamento. In una seconda fase di consolidamento, il punto di interscambio si struttura sia migliorando l’organizzazione degli spazi e l’infrastruttura tecnica, sia attraverso una gestione di contabilità propria e con qualche risorsa di personale dedicata, sempre impiegata da CASPUR. In questo periodo, i tecnici di CASPUR seguitano ad occuparsi di NAMEX e in particolare iniziano a delinearsi due figure che, via via, si dedicheranno più specificatamente a NAMEX. Maurizio Goretti lavora a mezzo tempo tra CASPUR e NAMEX, e lo affianca Daniele Arena che viene inizialmente impiegato per fare il sito web di NAMEX nel linguaggio PHP e che poi sarà un po’ un factotum, occupandosi oltre che di aspetti tecnici, anche di contabilità e di recupero crediti. In questa seconda fase, nota Arena, NAMEX ha delle esigenze tecniche crescenti e «ci sono stati dei miglioramenti nelle infrastrutture di CASPUR che sicuramente sono stati un po’ spinti» da queste esigenze.
A partire dal settembre 2002 NAMEX si trasferisce in via dei Tizii 6/b.
“[...] premesso la sorpresa in sé già per l’evento, perché non era comune che un soggetto Internet, chiunque esso sia, organizzasse un evento, cioè era una cosa già un po’ fuori dalle righe, però subito, mi ricordo, mi registrai. Mandai la mia adesione perché ero più che altro curioso di vedere cosa succedeva [...] alcuni soggetti impegnati all’epoca comunque già li conoscevo perché, chiaramente, essendo stato tra i primi a iniziare a fare attività di Internet Service Provider li conoscevo quasi tutti, anche personalmente. Quindi era anche un modo di fare due chiacchiere con qualcuno”
Antonio Baldassarra, fondatore e amministratore delegato di Seeweb
The BBC joined LINX essentially by using a ruse. They have actually told the story quite openly and there is a video about this that you can watch if you wish, here: https://youtu.be/nKPslQIwKaw. They joined by pretending to meet the requirement to be an ISP because they were a VISP (a virtual ISP), and also because they provided connectivity to their own staff. At the time, the BBC offered a branded ISP service to connect to the Internet, but in fact the service was provided by another provider, because the BBC did not have an ISP infrastructure. They also had to work quite hard to meet all of the other technical requirements designed to preclude anyone other than large/serious ISPs, such as having international bandwidth etc. So one day, LINX metaphorically woke up and found a genuine content provider had actually become a LINX member. At that point the restrictive joining rules were clearly seen to be ridiculous, because the rule excluding content providers was no longer tenable, because one had already joined! So, LINX had a choice: it could either throw the BBC out (and many thought that this would diminish the value of the exchange) or it could conclude that the old rule was silly, and abolish it. It did the latter. Other exchanges such as AMS-IX and DE-CIX had never had any discrimination anyway, so any type of organisation could join those IXPs. LINX therefore joined the general (but not exclusive) consensus in the IXP world which held that openness is a virtue, and that anyone with an ASN and an ability to peer should be allowed to join.
John Souter, ex CEO di LINX
I media internazionali, nel frattempo, cominciarono ad occuparsi del problema della sorveglianza di massa e della privacy. “La parola Internet ha cominciato ad essere associata alla parola intercettazioni”. [52] Scoppiano alcuni scandali famosi, da Cambridge Analytica alle rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio di massa da parte dell’NSA (National Security Agency), l’organizzazione statunitense che si occupa della sorveglianza elettronica degli altri paesi. Anche NAMEX vive il suo momento scandalistico quando giovedì 17 luglio 2014, sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica, a fondo pagina, appare un titolo inquietante: «Tutta l’Italia può essere spiata». Il virgolettato viene attribuito al Garante per la Privacy che sostiene che la mancanza di sicurezza degli Internet Exchange italiani metta a rischio «telefonate, sms, email, chat, contenuti postati sul social network» [53]. L’articolo cita una relazione riservata del Dipartimento attività ispettive dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, inviata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per lo Sviluppo economico e al Ministro dell’Interno, oltre che a Marco Minniti, allora sottosegretario con delega all’intelligence. Il rapporto segnala che caratteristiche tecniche intrinseche al funzionamento dei punti di interscambio potrebbero essere utilizzate per duplicare il flusso di dati. Da qui la preoccupazione per un possibile accesso non autorizzato alle funzioni logiche che permetterebbero questa duplicazione di dati.
Il Garante per la privacy, in effetti, ha effettuato delle ispezioni nei tre principali Internet Exchange italiani (MIX, NAMEX e TOP-IX di Torino) a seguito delle quali viene redatto un rapporto. In seguito, verrà formato un tavolo tecnico tra Garante e punti di interscambio che produrrà un codice di autoregolamentazione. In questo codice è richiesto ai punti di interscambio di tenere traccia degli accessi agli apparati da parte del personale e delle modifiche alle configurazioni. Questo consente di tenere sotto controllo l’operato dei tecnici che lavorano al punto di interscambio, che sono i soli ad avere le competenze tecniche e, soprattutto, i privilegi di accesso necessari per configurare gli apparati.
Se questa è la preoccupazione principale del Garante, l’articolo, invece, ha un tono diverso. L’allarmismo non è correlato a un’analisi del funzionamento tecnico. Si parla genericamente di accesso ai locali o di grave pericolo per la privacy degli utenti finali, senza però che venga affrontata la questione di come si potrebbe accedere ai dati in termini pratici. Questo perché il traffico nel punto di interscambio è un semplice passaggio elettrico/ottico. L’infrastruttura per duplicare il traffico e trasportarlo in un luogo dove poter intercettare e decodificare i contenuti dovrebbe essere fatta di apparati di intercettazione voluminosi. L’articolo sembra suggerire uno scenario al quale ci ha abituato una certa filmografia di spionaggio, dove un personaggio qualsiasi si introduce in un datacenter con una chiavetta USB e “scarica” magicamente i dati che cerca già salvati in file specifici. Lo stesso codice di autoregolamentazione dei punti di interscambio formalizza la necessità di misure basilari di sicurezza fisica, quali la presenza di telecamere o di serrature nei rack (gli armadi dove sono posizionati gli switch, i server, eccetera), che erano già largamente esistenti nei punti di interscambio. La descrizione dell’articolo è quasi caricaturale, una cartolina dal Bel Paese, dove i server sono posizionati in un condominio «con i terrazzi, i panni stesi, i gelsomini, casalinghe alle finestre, universitari di passaggio, sconosciuti» dove «entrando si può fare di tutto» [54]. La terminologia è molto evocativa: la questione è denominata “il datagate italiano”, citando il “Grande Fratello” noto ormai più per il reality show che per il libro di Orwelliana memoria. L’articolo colpisce al cuore le preoccupazioni dell’italiano che non ha dimestichezza con la tecnologia e si sente messo a nudo persino nelle telefonate. Chissà perché le telefonate vengono incluse dai giornalisti in questione tra i dati che passano dal punto di interscambio, invece che passare sui cavi di Telecom Italia. Se questa vicenda ha dei tratti comici, la sicurezza dei punti di interscambio ha comunque una propria rilevanza tecnica e politica.
Negli anni successivi la questione del ruolo strategico dei punti di interscambio viene anche discussa a livello europeo nell’ambito della direttiva Network and Information Security (NIS) [55]. Questa direttiva ha lo scopo di definire una comune strategia europea riguardante la gestione dei rischi e la protezione da attacchi cibernetici. Gli attacchi informatici possono essere di diversi tipi. I più pericolosi portano all’interruzione di servizi essenziali. Esistono bersagli specifici che, se attaccati, subiscono danni tali da paralizzare un’intera nazione e provocare problemi di grave entità. È il caso delle infrastrutture definite come “critiche”. Tra queste, ad esempio, ci sono quelle relative alle risorse energetiche, agli ospedali, ai trasporti, agli impianti di fornitura e distribuzione di acqua potabile, ma anche la finanza e le telecomunicazioni. Anche i punti di interscambio possono essere inclusi in questa definizione di infrastrutture critiche, la cui lista viene completata dai singoli stati e costituisce informazione riservata. Sono passati solo una quindicina d’anni da quando Maurizio Goretti va al Ministero delle Telecomunicazioni e gli viene chiesto: «Che licenza avete per operare?» da un burocrate anziano che rimane esterrefatto dalla mancata esistenza di una siffatta licenza: «non potete esistere senza licenza» [56]. Sono stati anni in cui le istituzioni hanno rincorso i cambiamenti di un mondo che si è evoluto rapidamente, costruendo dal basso infrastrutture strategiche per il Paese.
Si occupa di storia orale e culturale. Dopo il dottorato di ricerca a Loughborough University è stata professore associato in contesti internazionali. È Staff member a UCL e collabora a REDESM (Uninsubria). Ha pubblicato in The European Legacy e in Popular Music.
Un ringraziamento speciale a Marco d’Itri.